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Parliamo non di
opera, ma di
prosa.
L’occasione è
data da Un
curioso
accidente,
gustosa e
dolceamara
commedia di
Carlo Goldoni,
lo spettacolo
messo in scena
dalla compagnia
di Gabriele
Lavia
all’Argentina
dal 31 ottobre
al 19 novembre
2023 (ero in
sala il 14), che
proseguirà in
varie tappe
italiane nel
corso del 2024.
E devo dire che
tornare nello
storico teatro
romano che vide
la prima
assoluta del
Barbiere di
Rossini è sempre
gradevole.
Volti noti in
platea e
soprattutto
tanti, ma tanti
giovani tra gli
spettatori. Cosa
che mi ha
stupito non
poco, visto che
le mise en
scène di una
certa levatura
sono viste per
lo più da un
pubblico direi
abbastanza in là
con gli anni.
È molto più
facile, insomma,
che la nostra
bella gioventù
frequenti le
sale
cinematografiche
(ed ultimamente
neppure più
quelle) rispetto
a quelle
teatrali.
Fa ben sperare
per il futuro,
il fatto che le
nuove
generazioni si
rechino ancora
nei teatri. E
che,
soprattutto,
riscoprano i
classici del
palcoscenico.
Il nome di Lavia
in cartellone,
certo, è una
garanzia tale da
richiamare un
consistente
numero di
spettatori e
tale da
assicurare
l’indubbia
qualità delle
rappresentazioni.
Parliamo
dell’allestimento
scenografico.
A prima vista
(ed a sipario
già aperto), un
insieme di
elementi che
danno l’idea di
una quinta
mostrata al
pubblico nella
sua assoluta
nudità ed
altrettanta
magia.
Un abbozzo di
camerino a luci
in parte
mancanti sullo
specchio (nel
monologo
d’introduzione
di Lavia allo
spettacolo, che
già da solo vale
tutto il prezzo
del biglietto,
se ne spiega il
perché, oltre a
ricevere
preziose
informazioni
sulla Venezia
d’un tempo e
sulla commedia
stessa); drappi
rossi che
scorrono
trasversalmente
lungo l’intero
palcoscenico a
ricordarci,
probabilmente
che il teatro è
simulazione di
eventi della
vita, ma che
irrompono nella
stessa
mostrandoci
il vero più del
vero; due
pianoforti
(peraltro
suonati in scena
ad accompagnare
i momenti
salienti dello
spettacolo più
due introduzioni
cantate dalla
compagnia) e –
dulcis in
fundo – tre
file di
poltroncine
rosse col
pubblico sulla
scena (cosa già
vista dal
sottoscritto, ad
esempio, in
Fenice a
Venezia, ma in
tempo di
pandemia, quando
la scena venne
spostata
temporaneamente
in platea a
cominciare dall’Ottone
in villa di
Antonio Vivaldi,
se ben rammento)
a completare il
tutto.
Non un
allestimento
classico,
insomma, ma
ricco di
simbologia e che
lascia
maggiormente
apprezzare, per
certi versi, la
curatissima
qualità della
recitazione.
È bene,
all’uopo, far
presente un
dettaglio che a
volte passa
inosservato allo
spettatore
moderno,
abituato a
spettacoli di
altra grana: la
recitazione dev’essere
limpida, la voce
modulata a
dovere e
soprattutto in
totale assenza
di ausili
microfonici.
Sembra cosa da
poco, ma non lo
è.
Quante volte m’è
capitato di
assistere a
produzioni in
cui, se non
microfonati
gli attori (o
presunti tali)
non sarebbero
riusciti a farsi
udire dalla
seconda o terza
fila in poi?
Certo, se gli
spazi scenici
richiedono
necessariamente
un aiuto di
questa natura, è
lecito (ed
esteticamente
accettabile)
fruirne a
beneficio degli
spettatori più
distanti dal
palcoscenico, ma
un vero attore
(che la tecnica
la conosce) sa
bene come farsi
intendere anche
in piccionaia.
E la compagnia
di Lavia è
composta da
attori veri, ben
coordinati ed
incisivamente
diretti. Sanno
il fatto loro.
Tutti quanti.
Federica Di
Martino
interpreta una
Madamigella
Giannina sobria
ed intrigante,
completamente
nel personaggio
già dal primo
istante sulla
scena.
Il Monsieur de
la Cotterie di
Simone Toni va
in crescendo,
con un registro
comico
apprezzabilissimo.
Lorenzo Terenzi
(Monsieur
Guascogna) e
Giorgia Salari
(Marianna)
interagiscono
tra loro con
garbo e regalano
una piacevole
interpretazione.
Molto ben
coordinata e
d’effetto
Beatrice
Ceccherini, la
Madamigella
Costanza che è
il fulcro di
questa saporita
commedia degli
equivoci
goldoniana
ambientata
nell’Olanda del
1760, poco
rappresentata
nel nostro
Paese.
Gradevole
altresì
l’interpretazione
di Andrea
Nicolini, nella
doppia veste di
Monsieur
Riccardo e di
pianista
accompagnatore
dei momenti
scenici assieme
a Leonardo
Nicolini.
Lorenzo Volpe ci
regala un cameo
da Arlecchino in
linea con la
tradizione.
E Gabriele Lavia
ci guarda
paternamente
tutti dall’alto
dei suoi
sessant’anni di
teatro, con la
serietà e la
gagliardia che
continua ad
infondere ai
personaggi che
interpreta. Il
suo Monsieur
Filiberto
riassume in due
ore e mezza di
spettacolo una
vita spesa sulle
tavole del
palcoscenico in
modo sublime.
Energico e vivo
come a
trent’anni,
adesso che ne ha
la bellezza di
ottantuno.
Il pubblico?
Apprezza, e
molto. Ride nei
diversi momenti
comici ed
applaude in
molte occasioni
durante lo
spettacolo, per
poi esplodere di
approvazione nel
finale, che è
dolce ed amaro
allo stesso
tempo.
Un Goldoni
diverso dal
solito, al quale
la tradizione ci
ha abituati, ma
che risulta
sempre attuale e
di forte impatto
culturale.
Il teatro,
insomma, non
sopravvive, ma
vive.
E lo fa proprio
grazie a
spettacoli come
questo, nelle
strutture che
ancora resistono
alle offese del
tempo.
Troppi teatri
vengono chiusi o
riadattati in
modo indicibile
secondo le
esigenze, vere o
presunte della
popolazione.
Ma la gente,
oggi più che
mai, oggi più di
prima, ha
bisogno di
cultura. Sente
la necessità di
provare il
brivido di
quella catarsi
aristotelica per
affrancarsi
dalle miserie
del quotidiano.
E l’Arte
scenica, come
insegnano i
nostri antenati
ellenici, serve
proprio a
questo. A
migliorare le
nostre vite.